Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
27 Luglio 2015
Un club che gira il mondo, fa del fair play la sua bandiera, dà spettacolo e vince, non cede ad alcun compromesso o scorciatoia, gioca col sorriso e fa sorridere giocando. Fareste il tifo per una squadra così? Ovvio che sì. Utopia? Forse: ma una realtà del genere è esistita davvero.
Si chiamava Corinthian Football Club e aveva sede a Londra. Sede, però, è una parola grossa: niente campo di proprietà, né campionato di riferimento. Il Corinthian venne fondato nel 1882 da Lane Pa Jackson, vicesegretario della Football Association inglese, con l'obiettivo di ribaltare la momentanea supremazia scozzese attraverso un progetto innovativo. Che si basava su una parola d'ordine: dilettantismo, che più puro non si può. Era un laboratorio: tecnico, tattico, etico, culturale. Vi si testavano idee di un calcio diverso, per far crescere il livello dei maestri fino a ristabilire le gerarchie.
I mammasantissima della FA arricciavano gli augusti nasi vedendo che la Scozia dominava gli annuali confronti con l'Inghilterra: dal 30 novembre 1872, data della prima sfida (finita senza reti), il Cardo aveva imposto la sua legge 7 volte su 11, anche con scarti imbarazzanti (7-2 nel 1878, 6-1 nel 1881), e i Tre Leoni si erano affermati solo due volte, a fatica. Urgeva una sterzata: sarebbe stato facile tamponare le falle a buon mercato come se non ci fosse un domani, invece il lungimirante Jackson pensò a una rivoluzione strutturale, non di facciata, che desse frutti duraturi. Partiva da una constatazione oggettiva: mentre gli scozzesi giocavano spesso insieme, i nazionali inglesi si ritrovavano di rado, giusto per le partite coi rappresentanti delle altre federazioni del Regno Unito. Secondo lui, questo era il primo gap da colmare: oggi parleremmo di amalgama.
Individuato il fine, si creò il mezzo. Il Corinthian FC vestiva maglie bianche immacolate e calzoncini blu. Non possedeva cartellini né giocatori di proprietà: la rosa era formata, su invito, dai migliori dilettanti pescati nelle scuole, nelle università e nei club amatoriali. Venivano selezionati, allenati e formati secondo una medesima filosofia. Le partite erano amichevoli infrasettimanali con rivali amatori o professionisti, proprio per evitare conflitti di competenze: al sabato i giocatori tornavano a disposizione delle squadre di provenienza per disputare i campionati ufficiali. L'obiettivo finale era fornire alla nazionale - all'epoca basata quasi esclusivamente sul dilettantismo - uno zoccolo duro affiatato, in cui innestare qualche campione dei club professionistici, per alzare il livello complessivo e tornare a primeggiare. Capitava, naturalmente, che i migliori giocatori del Corinthian interessassero ai team professionistici: in questo caso abbandonavano la franchigia per firmare e onorare i nuovi contratti.
Tutto questo seguendo regole di comportamento di sobrietà monacale, in campo e fuori: quello che ancora adesso gli inglesi chiamano Corinthian spirit e rappresenta il top del fair play. Per esempio, era proibito giocare per soldi, fossero stipendi, premi, rimborsi o sotto qualunque altra forma: gli ingaggi per le esibizioni servivano a coprire le spese vive, il resto andava in beneficenza, di solito agli ospedali. Se un avversario s'infortunava - all'epoca non c'erano le sostituzioni - il Corinthian proseguiva la gara con un uomo in meno per ristabilire la parità numerica. E in quel gruppo si annidavano i principali detrattori del calcio di rigore, introdotto proprio in quel periodo per punire i falli volontari nei pressi della porta: Jackson e i suoi accoliti, fedeli alla purezza originaria del gioco, rifiutavano a priori l'idea che qualcuno potesse commettere di proposito un'irregolarità. Osteggiavano la regola del penalty fino al paradosso: se ne ricevevano uno a favore lo sbagliavano apposta, e se gliene fischiavano uno contro il portiere rimaneva appoggiato al palo, contando che il tiratore designato provasse la sua stessa indignazione.
Il progetto, che faceva base sui campi londinesi di Queen's, Crystal Palace e Leyton, condivisi con le rispettive società di cricket, decollò e in breve diede copiosi frutti. Anzitutto per la nazionale: tra il 1883 e il 1890 due terzi dei convocati avevano lavorato nel Corinthian. E in tempi neanche tanto lunghi l'Inghilterra si riprese la leadership: il 17 marzo 1888 espugnò l'Hampden Park di Glasgow con un memorabile 5-0, interrompendo un digiuno che durava da nove anni e aprendo una lunga striscia positiva con la Scozia. Il punto più alto fu toccato il 12 marzo 1894 a Wrexham, quando l'undici del 5-1 rifilato al Galles era interamente composto di elementi usciti dal Corinthian: un caso di colonizzazione della nazionale mai più ripetuto nella storia.
A conferma dell'assoluta avanguardia in cui si muoveva, l'apporto del Corinthian andò ben oltre queste faccende di campanile: non è esagerato dire che cambiò tutto il calcio mondiale. Intanto, proprio uno di loro, il capitano Charles Wreford-Brown, battezzò il termine soccer riassumendo la locuzione association football. E il Corinthian fu profeta della prima grande evoluzione tattica della storia: inizialmente tutti praticavano un 1-1-8 basato su corsa, dribbling e lanci; loro proposero un più equilibrato 2-2-6, fatto di possesso palla e passaggi elaborati, ispirato proprio allo stile scozzese. Servivano velocità di pensiero e piedi più educati, doti che non si comprano al pub, ma la strada si rivelò giusta.
Il fenomeno prendeva piede e faceva parlare di sé anche lontano dal quartier generale londinese. La fama delle maglie bianche valicò la Manica e anche l'Atlantico: il Corinthian divenne una sorta di Harlem Globetrotters del calcio, grazie a tournée globali in cui esportava un calcio diverso, alla vista del quale la gente si stropicciava letteralmente gli occhi. Fece alfabetizzazione calcistica ovunque e affrontò il meglio del football del tempo, dimostrandosi invariabilmente superiore. Per esempio, nel 1884 strapazzò 8-1 i Blackburn Rovers e nel 1903 asfaltò 10-3 il Bury: entrambi erano detentori della Coppa d'Inghilterra, quindi ritenuti le migliori squadre del mondo.
Il primo tour fu quello del 1884, limitato ai confini nazionali: il Corinthian girò il nord dell'Inghilterra dispensando meraviglie. Perse due volte perché, giocando quotidianamente (sette partite in otto giorni!), non sempre le energie bastavano contro avversari motivati a mille. I successivi tour posarono pietre miliari di un'inedita globalizzazione calcistica ante litteram. Nell'estate 1897 fu il primo club europeo a visitare il Sudafrica, portando appena 14 giocatori pur avendo in agenda ben 23 partite in due mesi: ne vinse 21, segnando gragnuole di gol. Ripeté quel fortunato viaggio nel 1903 e nel 1907.
Nel periodo pasquale del 1904 il Corinthian - su suggerimento delle università di Oxford e Cambridge, che già vi avevano avviato scambi sportivi e culturali - si esibì nell'Impero Austroungarico, tastando il polso alle prime grandi scuole mitteleuropee e inflggendo sonore scoppole alle squadre di punta di Budapest, Vienna, Praga e Lipsia. In estate salì in Scandinavia, dove scoprì realtà sconosciute e vinse facilmente le partite allestite sui campi spelacchiati di Goteborg, Stoccolma e Copenaghen.
Ma il vero salto di qualità venne dalle tournée americane, una novità incredibile per quei tempi. Nell'agosto-settembre del 1906 il Corinthian attraversò l'oceano per affrontare un'attesissima serie di partite negli Usa e in Canada. Secondo gli osservatori in quella circostanza, cruciale per la diffusione del soccer, fu assemblata la miglior squadra corinthiana di sempre, per attitudine e qualità tecniche. Il Corinthian disputò 17 partite e diffuse il verbo da par suo, nonostante una serie di imprevisti. Per un ritardo del treno si presentò un'ora e mezza dopo l'orario stabilito alla partita d'esordio a Montreal: il pubblico spazientito già annusava il bidone, ma poi gli inglesi si fecero perdonare trionfando 6-2 tra gli applausi. Per un errore nelle prenotazioni si trovò senza albergo: la comitiva fu ospitata a casa di un ex calciatore dilettante emigrato in Quebec, incontrato per caso sulla nave. Nel trasferimento tra Chicago e Cincinnati andarono persi tutti i bagagli, ma ciò non impedì al Corinthian di battere 19-0 la squadra locale, prima di fiondarsi in un robusto shopping per ricomprare gli oggetti smarriti.
Il 7 luglio 1907 il Corinthian fu tra i promotori dello scisma nel calcio inglese: in polemica con la Football Association fu fondata l'Amateur Football Alliance, che intendeva preservare l'originario spirito del gioco, rifuggendo le tentazioni insite nel professionismo. Questo causò la ripicca della FA, che impedì ai suoi club pro di incontrare quelli della lega dilettantistica. Il Corinthian smise di girare il Paese e si concentrò sui tour all'estero, ricavandone grandi benefici in termini di popolarità.
La tappa più significativa fu quella sudamericana, consumata in tre manches. Il 5 agosto 1910 i 15 ambasciatori in bianco vestiti salparono da Southampton sulla nave Amazon alla volta del Brasile, dove giunsero il 22. Dal 24 al 4 settembre incontrarono il meglio del futebol bailado, ubriacando di gol e giocate Fluminense, Palmeiras, San Paolo e selezioni di campioni di Rio e San Paolo. Curiosamente, tra un match e l'altro trovarono pure il tempo di disputare una partita di cricket contro un locale club di emigranti inglesi, pareggiandola.
L'impressione destata fu enorme, l'accoglienza straordinaria. Al punto che già nel 1913 venne allestito il bis. Una tournée romanzesca: arrivarono la solita messe di vittorie e la solita valanga di applausi a scena aperta, però ci furono diversi episodi strambi. Le cronache negli archivi del club parlano - senza fare nomi - di "un matrimonio, una nascita, due morti (uno suicida)" e della "fuga improvvisa di un cuoco" della comitiva. L'anno dopo, mentre sull'Europa soffiavano venti di guerra, il nuovo giro in Brasile abortì prima di cominciare: durante la traversata d'andata la nave della squadra dovette cambiare rotta per schivare un'imbarcazione da guerra tedesca, e allo sbarco ci fu a malapena il tempo di sbirciare Rio de Janeiro. Quattro giocatori furono richiamati in patria d'urgenza come ufficiali riservisti e gli altri decisero, per solidarietà, di prendere la via del ritorno. Molti di loro andarono sui campi di battaglia, senza sopravvivere: nella Grande Guerra il Corinthian perse e pianse ben 22 membri.
Dopo la guerra riprese l'attività, ma lo scenario era drasticamente mutato. La FA aveva aperto ai professionisti in nazionale, togliendo al club la mission, parte del fascino e della capacità di attrarre talenti. Continuarono i giri del mondo, con lo zenit dei bagni di folla in Usa e Canada nel 1924: ma non era più un'abitudine esclusiva, altre realtà più blasonate avevano copiato la formula. A partire dal 1923 il Corinthian si "abbassò" a partecipare - senza fortuna - alla regina delle manifestazioni competitive, la Coppa d'Inghilterra, uscendo invariabilmente ai primi turni e persistendo nell'interpretazione esageratamente cavalleresca del regolamento contro avversari molto più smaliziati.
Nel 1939, al culmine della crisi d'identità, il Corinthian si è fuso col Casuals FC, meno famoso team londinese animato dalle stesse peculiarità. La squadra esiste a tutt'oggi, veste alternativamente i colori dei club originari (il Casuals usava il rosa e il marrone) e milita nelle leghe minori. Però il Corinthian spirit sopravvive nelle imprese di chi l'ha apprezzato. La tournée brasiliana del 1910 ispirò a un manipolo di operai paulisti la creazione di una società che rendesse popolare il calcio, allora sport elitario appannaggio degli emigrati britannici: la fondarono il 1° settembre, proprio durante la tappa di San Paolo degli illustri ospiti, la chiamarono Corinthians e oltre al nome le diedero gli stessi colori. Il Real Madrid, fondato nel 1902, mutuò dalla leggendaria squadra dilettantistica londinese la divisa bianca. E in Svezia, durante il tour del 1904, furono poste le basi per il primo torneo nazionale, il cui trofeo fu chiamato Corinthian Bowl. La stessa nazionale inglese usa storicamente la divisa del Corinthian.
I campioni del Corinthian, peraltro, non si fecero valere solo nel football. Erano formidabili atleti polivalenti: non a caso restano l'unica squadra di calcio ad aver battuto i Barbarians di rugby. Accadde nel corso di una singolare sfida polisportiva, consumata nell'aprile 1892 tra le due compagini a inviti più famose. La gara di atletica fu vinta dal Corinthian grazie alla performance del fenomeno Charles Burgess Fry, idolo degli sportivi d'oltre Manica, che deteneva il record del lungo, era un eccellente saltatore in alto, si cimentava con successo in cricket e rugby. La prova calcistica fu dominata dal Corinthian con un secco 6-0. Pure quella di rugby, clamorosamente, andò ai calciatori: 16-14 grazie a tre mete di un altro eclettico doc, Tin Lindley: la cosa curiosa è che quel giorno furono i rugbysti a lamentarsi dell'arbitraggio. Sul 3-0 parziale, l'ultimo round dedicato al cricket era ormai ininfluente e andò ai Barbarians.