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Gente di calcio

Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone

1939-1946: la notte del pallone polacco

La nazionale polacca nel 1938. Il fenomenale Ernst Wilimowski è il quinto da destra
La nazionale polacca nel 1938. Il fenomenale Ernst Wilimowski è il quinto da destra

Era una bella domenica di sole, pure calda, il 27 agosto 1939 a Varsavia. Quattro giorni prima Molotov e Ribbentrop si erano spartiti a tavolino un Paese da spazzar via, ma questo i polacchi non potevano saperlo. Sull'Europa soffiavano venti di guerra, si temeva da un momento all'altro la mobilitazione dell'esercito: eppure nella capitale si respirava un inspiegabile ottimismo. Quel pomeriggio trentamila persone andarono allo stadio del Legia per l'amichevole di lusso Polonia-Ungheria, in agenda alle 17: la sfida ai vicecampioni del mondo intrigava la gente, l'attesa era spasmodica, da giorni non si parlava d'altro. Tutti volevano assistere, ma nessuno si faceva troppe illusioni sull'esito: presentando l'evento, il quotidiano Przeglad Sportowy titolò "Senza chances, ma pronti a lottare". Non ci credeva neppure Alex James, guru scozzese che assisteva il ct polacco, ma poche ore prima del match era fuggito in patria per paura che scoppiasse la guerra: inviò messaggi in cui raccomandava alla squadra di compattarsi in difesa e le augurava di strappare un pareggio ai vicecampioni del mondo.

La grande rimonta. La nazionale polacca non era particolarmente quotata, ma schierava un paio di grandissimi giocatori: il bomber Ernest Wilimowski, tecnica sopraffina e medie realizzative stupefacenti; e il difensore Wladyslaw Szczepaniak, bandiera del calcio di quelle latitudini. Il selezionatore era Jozef Kaluza, una leggenda: da giocatore del Cracovia aveva vinto, nel 1921, il primo campionato nazionale della storia, e in pochi anni (era in carica dal '32) era riuscito a issare la Polonia a livelli mai visti prima. Era ancora fresco il ricordo del clamoroso 6-5 con cui, l'anno prima a Strasburgo, il magno Brasile l'aveva eliminata ai supplementari dal Mondiale francese: una delle partite più belle di sempre.

La folla sugli spalti era strabocchevole: gente comune e militari in divisa, accomunati dall'atmosfera festosa. I magiari misero subito sul piatto la propria superiorità tecnica: dopo mezz'ora conducevano 2-0, gol di Adam e Zsengeller. La Polonia, superato l'abbrivio traballante, gasata dall'incitamento continuo del pubblico, ebbe una reazione inattesa, rabbiosa, orgogliosa. E sull'asse Piontek-Wilimowski costruì una rimonta incredibile: il primo innescò più volte la formidabile ala sinistra, che firmò una tripletta. Quando, sul 2-2, ci fu da tirare un rigore, fu Piontek stesso a presentarsi sul dischetto e trasformare. Il ringalluzzito Przeglad Sportowy, l'indomani, gridò a tutta pagina "Mezz'ora di depressione, un'ora di dominio".

Al fischio finale dell'arbitro finlandese Pekonen la gente sciamò in campo. Era la prima volta che i polacchi battevano gli ungheresi, e apparve la vittoria più memorabile della storia. Gli sconfitti, sorpresi, ammisero la superiorità biancorossa. Quella sera, alla cena di saluto delle delegazioni, il clima positivo fu appena incrinato da una frase pronunciata sottovoce dal colonnello Kazimierz Glabitz, numero uno della federazione polacca: nel discorso ufficiale gli sfuggì un laconico "chissà, potrebbe essere stata la nostra ultima partita".

La Wehrmacht travolge tutto. Aveva ragione, e forse grazie al suo ruolo sapeva retroscena ignoti agli altri astanti. Quattro giorni dopo, all'alba del 1° settembre, la Wehrmacht invase il Paese: era l'inizio della guerra. Da est, a metà mese, fece lo stesso l'Armata Rossa: la tenaglia soffocò la Polonia, che in capo a tre settimane sparì e venne spartita tra Hitler e Stalin, come da accordi pregressi. Questa tragica escalation colse la nazionale polacca in ritiro, poiché erano in calendario altre due partite, che non si disputarono mai: mercoledì 6 settembre era attesa a Belgrado dalla Jugoslavia, il 24 doveva ospitare la Romania.

Tutto il calcio polacco finì travolto dalla guerra. Alla fine del campionato 1939, che contava dieci squadre e seguiva l'anno solare, mancava una manciata di giornate: l'ultimo turno si era giocato il 20 agosto, poi c'era stata la pausa per gli impegni della nazionale. Alla ripresa, il 10 settembre, il battistrada Ruch Chorzow si sarebbe dovuto guardare da Wisla Cracovia e Pogon Lvov, che lo tallonavano e avevano rispettivamente due e una partita da recuperare. E andava disputato lo scontro diretto di ritorno Ruch-Wisla, probabilmente decisivo. Quel torneo rimase monco e quello scudetto restò vacante. All'interruzione il famoso Wilimowski del Ruch aveva già segnato 25 gol in 14 gare. Una serie A più o meno regolare, benché precaria e allestita con la sbrigativa formula a eliminazione diretta, si sarebbe rivista in Polonia solo nel 1946.

Sotto i nazisti. Le società nel periodo bellico ebbero vita durissima. Molte vennero sciolte, altre furono riformate imponendo dirigenti delle forze occupanti. Nelle zone ricadute sotto la dominazione nazista l'attività poté proseguire solo sotto lo stretto controllo delle autorità, e a patto di iscriversi ai campionati tedeschi. Le squadre delle zone di Wroclaw e di Zabrze furono aggregate alla Gauliga della Slesia; quelle meridionali dell'area di Jablonec fecero riferimento alla Gauliga dei Sudeti, che dopo l'annessione aveva già inglobato diversi club cecoslovacchi. Siccome Danzica e Stettino si trovavano nel cosiddetto corridoio già amministrato dalla Germania, le loro formazioni continuarono a militare rispettivamente nelle leghe regionali della Prussia Orientale e della Pomerania. Infine i club di Cracovia e di Varsavia, in gran parte rifondati dal nuovo regime, dal 1941 costituirono la neonata Gauliga del Governatorato.

Può fare specie che durante una tragedia simile e in tempi durissimi per la popolazione civile si giocasse a pallone: ma in molti casi si trattava di attività incoraggiate dagli stessi invasori nazisti, e tesserarsi per un club - meglio se di dna indubitabilmente tedesco - era un ottimo sistema per dribblare la chiamata alle armi e condurre una vita quotidiana meno disagiata. Per questo diversi nazionali polacchi, soprattutto quelli di più o meno solide ascendenze teutoniche, furono ben lieti di aderire alle richieste degli occupanti e di rifarsi una carriera in salsa tedesca.

Sotto i sovietici. Non molto diversa la situazione nella Polonia orientale fagocitata dall'Urss. Tra le città che vennero a trovarsi sotto Mosca ci fu un simbolo come Lvov (Leopoli), considerata la culla del calcio polacco. Anche qui, le società vennero sciolte e le loro strutture servirono l'attività dei club artificiosamente creati dalle nuove autorità, seguendo i tipici canoni dello sport di stato comunista. E anche qui giocare era meglio che combattere, benché su questo punto l'Armata Rossa fosse un filo più rigida.

Il Pogon Lvov, polisportiva fondata nel 1904, era ancoa una delle società-guida del calcio polacco: aveva vinto 4 scudetti ed effettuato numerose tournée all'estero. Al momento dello scioglimento vantava ben cinque squadre professionistiche nelle varie categorie, e la formazione di serie A era terza in classifica, con buone possibilità di lottare fino in fondo per il titolo.

Le città occupate e le loro società - chiamate Spartak, Dinamo e via snocciolando la classica nomenclatura del socialismo reale applicato allo sport - furono aggregate rispettivamente alle repubbliche confinanti e ai relativi campionati sovietici. Leopoli, ribattezzata Lviv, entrò a far parte dell'Ucraina, Wilno (cioè Vilnius) della Lituania: le loro squadre presero parte alla massima divisione ucraina, corrispondente al terzo livello del sistema calcistico sovietico. Finché, nel 1942, l'attività agonistica fu sospesa per la recrudescenza degli eventi bellici.

Il destino del bomber. A guerra finita e Polonia ristabilita non tutto tornò come prima. Paradossale ed emblematica la parabola dell'idolo delle folle Ernest Wilimowski, fuoriclasse con un piede a sei dita (il destro). Era originario della Bassa Slesia, aveva genitori tedeschi e perse il padre nella Prima guerra mondiale. Prese il cognome polacco del nuovo marito della madre e maturò calcisticamente nel 1.FC Kattowitz, squadra germanofona di Katowice: esplose a 17 anni vincendo la classifica cannonieri con il Ruch e venendo convocato in nazionale. Un fenomeno, capace di segnare in una singola partita dieci gol con il suo club e quattro con la nazionale, sia nella Polonia (nel leggendario match col Brasile dei Mondiali 1938) che nella Germania (in un'amichevole del 1942 vinta 5-3 sulla Svizzera). Ma la guerra cambiò il suo destino: subito naturalizzato insieme ad altri calciatori di punta, andò a giocare nel Chemnitz, nel Monaco 1860 e nella rappresentativa del Reich. Alla fine delle ostilità non poté rientrare nel suo Paese: per la gente e le autorità comuniste era un traditore, e come tale indesiderato. Rimase in Germania, giocò fino a 43 anni nelle categorie minori e poi lavorò come i comuni mortali. Non gli fu nemmeno consentito di fare visita alla nazionale polacca nel ritiro tedesco del Mondiale 1974. Morì nel 1995 a Karlsruhe.

Otto anni dopo. La nazionale polacca tornò a giocare una gara ufficiale solo otto anni dopo, l'11 giugno 1947, perdendo in amichevole 3-1 in Norvegia: in campo quel giorno solo due reduci dell'impresa del '39, il totem Szczepaniak e il centrale Jablonski. Per ritrovare un po' di grandeur calcistica la Polonia dovette aspettare la fantastica generazione degli anni '70 e '80, capace di issarsi due volte fino alla semifinale mondiale (1974 e 1982).

Guarda un documentario su Ernest Wilimowski

Guarda Brasile-Polonia 6-5 del Mondiale 1938

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