Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
20 Aprile 2016
Tra il 14 e il 18 luglio 1969 El Salvador e Honduras combattono la cosiddetta "guerra delle cento ore", con 6mila morti, 15mila feriti e 50mila sfollati. Il giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski, che in quei giorni si trova in zona per lavoro, la ribattezza "guerra del futbol". Perché tra le motivazioni delle operazioni belliche c'è anche una faccenda patriottica legata al pallone.Le premesse economiche. I '60 sono anni di convulso sviluppo economico finanziato dagli Usa in un'area strategica. A seguito di riforme agricole mal calibrate, El Salvador si ritrova più ricco, ma con tanti contadini disoccupati e poche terre coltivabili, mentre in Honduras vi è la situazione opposta: povertà diffusa e vastità di campi disponibili. Così nel 1967 un accordo bilaterale consente a 300mila salvadoregni di trasferirsi nel Paese accanto per lavorare i terreni incolti: un'emigrazione di massa che scatena la cieca gelosia della popolazione locale. I frequenti disordini e le proteste degli honduregni inducono il governo di Tegucigalpa al rapido dietrofront: nell'aprile del 1969 vengono confiscate le terre appena assegnate ai salvadoregni e cacciate intere famiglie, che si trovano senza più nulla e lasciano improvvisamente le case, portandosi in spalla le loro povere cose, in un controesodo più drammatico dell'esodo.L'intreccio col calcio. Sono in corso le qualificazioni al Mondiale del 1970: lo ospiterà il Messico, che dunque è ammesso di diritto e lascia libera la casella geopolitica cui da sempre è abbonato. Sfortuna vuole che all'altezza delle semifinali continentali si debbano incontrare proprio El Salvador e Honduras. Doppio confronto reso complicato dallo sdegno incrociato dell'opinione pubblica dei due Paesi per la questione dei campesinos sedotti e abbandonati. Le partite si disputano in un clima di guerra civile, tra tensioni indicibili e scontri di piazza. Ci scappano pure dei morti.La gara d'andata. Si gioca domenica 8 giugno 1969 a Tegucigalpa. La notte della vigilia la folla si raduna sotto l'albergo della comitiva di El Salvador, facendo più rumore possibile e lanciando sassi contro le finestre. Nel tragitto verso lo stadio il pullman ospite rimane in panne con le gomme tagliate. La partita finisce 1-0 per i locali: decide un gol all'ultimo minuto del centravanti Roberto Cardona, che gioca nella Liga spagnola ed è la perla della squadra. Il clamore è tale che, dopo aver visto tutto in tv, a San Salvador una ragazza 18enne si uccide sparandosi al cuore con la pistola del padre, militare di carriera: viene issata seduta stante a eroina nazionale.Il ritorno tra mille follie. Animi surriscaldati anche la domenica seguente, 15 giugno, a San Salvador. Stessa accoglienza vivace ai rivali, stavolta a base di topi morti e bombe artigianali, e addirittura il linciaggio sulla pubblica piazza di un innocente ragazzo del posto, arruolato come guida dalla comitiva honduregna. "Arrivammo di venerdì - ha ricordato Fernando Bulnes, mediano honduregno - la gente era così esagitata che dovemmo sospendere l'allenamento di rifinitura e tornare in hotel. Il ragazzo salvadoregno che ci accompagnava lasciò l'hotel alle due di notte: lo lapidarono e poi lo lasciarono lì a morire in strada. Nell'albergo non rimase una finestra integra". Aggiunge Tonin Mendoza, a soli 21 anni capitano della rappresentativa dell'Honduras: "Ci fu un momento in cui tememmo per la nostra vita. Successe quando arrivò un razzo che fracassò i vetri della stanza in cui mi trovavo con altri tre compagni. E cadde anche un ordigno fatto in casa, che per pura fortuna non esplose".Timorosi di fare la stessa allucinante fine della loro malcapitata guida indigena, i giocatori ospiti vengono trasferiti di nascosto nelle case di connazionali residenti nella capitale: per raggiungere lo stadio Flor Blanca, l'indomani, hanno bisogno della scorta dei carri armati, e il loro autobus parcheggia direttamente a bordocampo.Al dunque, in calce al tradizionale stucchevole repertorio dei fischi all'inno, della bandiera strappata (in sostituzione fu usato uno straccio da cucina, dei colori più o meno giusti) e delle botte ai tifosi in trasferta, com'è logico la paura taglia gambe e lucidità all'Honduras, maltrattato pure calcisticamente con un netto 3-0, maturato già prima dell'intervallo. Ma il regolamento non pesa i punteggi: prevede la bella, da disputarsi in campo neutro. "Fummo terribilmente fortunati a perdere - ha narrato il ct honduregno Mario Griffin - Tutto quello che dovevamo fare era resistere fino alla fine. A metà gara, negli spogliatoi, quando già eravamo sotto 3-0, ci dicemmo: giochiamo questi 45 minuti e poi scappiamo via. Sapevamo che, se anche ne avessimo presi sei o dodici, ci sarebbe stata una terza partita decisiva. Non valeva la pena di rischiare la pelle lì".Lo spareggio. Ci si ritrova venerdì 27 giugno nel teatro dell'imminente Mondiale, l'Azteca di Città del Messico. La polizia messicana blinda l'immenso stadio, eppure le due tifoserie riescono lo stesso a venire a contatto, dandosi un'altra razione di colpi proibiti. La partita, giocata in notturna e sotto la pioggia, è il degno prosieguo delle puntate precedenti: vibrante, emozionante, drammatica. Finisce 2-2: El Salvador due volte in vantaggio con la doppietta di Martinez e due volte rimontato da Cardona (stupenda rovesciata) e Gomez. Servono i supplementari. Lì compare sulla scena l'uomo del destino: si chiama Mauricio Alonso Rodriguez Lindo, per i tifosi è el Pipo, è della classe 1945, fa l'attaccante nell'Universidad de El Salvador e nel curriculum vanta anche fugaci trascorsi messicani con l'Atlante di Cancun. Il Pipo, all'11' del primo overtime, annusa più degli altri le potenzialità di una palla filtrante sporca e bassa: brucia sullo scatto i difensori, anticipa in scivolata il portiere in uscita e firma il gol decisivo. "Perdemmo per uno dei soliti errori dei nostri centrali, che in campo non si fidavano l'uno dell'altro: ne prendevamo tanti di gol così. Ma la guerra era già stata programmata: la partita fu una scusa, non una causa", ricorda l'honduregno Rigoberto Gomez. "Mai avrei immaginato che un mio gol potesse scatenare qualcosa di simile", ha detto allibito il Pipo Rodriguez.Dal pallone alle armi. Al fischio finale la festa si tramuta in rissa: le tifoserie inscenano l'ennesima guerriglia urbana a Città del Messico, mentre a Tegucigalpa si scatenano altre violenze contro i pochi salvadoregni rimasti in Honduras. Chi s'ìillude che dirimere la questione calcistica basti a placare gli animi, però, deve presto ricredersi. La sera stessa dello spareggio perduto il regime militare dell'Honduras rompe le relazioni diplomatiche con El Salvador, anch'esso retto da una dittatura in divisa: la crisi, che è già stata economica, politica e sportiva, diventa quindi diplomatica e infine bellica. Finite le brevi ostilità, l'Honduras è costretto a risarcire i contadini stranieri chiamati e poi cacciati. I rapporti bilaterali rimangono incrinati fino alla firma del trattato di pace, avvenuta moilto più tardi, nel 1980.Il riscatto sul campo. El Salvador in finale elimina Haiti, ancora in tre partite, e va ai Mondiali messicani, dove perde tutte e tre le gare della prima fase, senza mai segnare. Dodici anni dopo, a Spagna '82, Honduras ed El Salvador giungono a braccetto a rappresentare il calcio centramericano: il cerchio si chiude. E in quell'occasione il ct del Salvador - ancora maltrattato: tre batoste su tre, anche con punteggi imbarazzanti - è proprio il Pipo Rodriguez.Guarda i gol dello spareggio di Città del MessicoGuarda un reportage sulla "guerra del futbol"Guarda El Salvador-Honduras in versione (quasi) integrale