Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
1 Giugno 2016
Molti conoscono la storia dell'Eintracht Braunschweig, primo club professionistico a mettere un marchio commerciale sulle maglie. Tutto accade a partire dall'estate del '72, quando il club sassone, nonostante un passato prossimo da applausi (ha vinto l'unico, storico scudetto nel 1967), vive un presente drammatico. Il club gialloblù versa infatti in cattive condizioni economiche e tecniche, e per giunta è reduce da uno scandalo: nel 1971 diversi giocatori sono stati puniti per aver intascato i soldi offerti dal proprietario dell'Arminia Bielefeld in cambio dell'impegno nel match contro i rivali nella lotta salvezza.
L'abisso è dietro l'angolo: il proprietario Ernst Fricke s'arrovella e trova una soluzione geniale. Gliela suggerisce Gunther Mast in persona, patron della Jaegermeister, l'industria del liquore d'erbe che proprio in quel periodo valica i confini tedeschi e sbarca con successo sui mercati esteri. L'accordo, raggiunto alla vigilia del campionato, prevede la scritta sulle maglie dell'Eintracht in cambio di centomila marchi.
Il problema è che i regolamenti in vigore in Germania Ovest impediscono di apporre sulle casacche simboli diversi dal logo della società. Dopo inutili ed estenuanti trattative, di fronte ai continui veti opposti dalla federcalcio, con il corollario di qualche ricorso incrociato nei tribunali, il direttivo dell'Eintracht rompe gli indugi e prende una decisione al contempo coraggiosa, storica e discutibile: l'8 gennaio 1973 vota a larghissima maggioranza (145 sì e 7 no) il cambio dello stemma, sostituendo il tradizionale leone rampante rosso con il cervo dalle grandi corna Hubertus, simbolo della Jaegermeister. In altre parole, vende l'anima allo sponsor.
L'esordio delle divise marchiate è fissato per il 27 gennaio, nel match casalingo col Kickers Offenbach. Ma montano le polemiche, la Dfb si mette di traverso: servono ancora un paio di mesi perché le acque si chetino e finalmente la nuova livrea veda ufficialmente il campo. La data fatidica è il 24 marzo, quando l'Eintracht Braunschweig riceve lo Schalke 04 nel turno numero 26 della Bundesliga. Un debutto col brivido: il logo realizzato sulle casacche è troppo grande (18 centimetri di diametro contro i 14 consentiti) e c'è il rischio di non poterlo beffardamente sfoggiare. Sblocca l'impasse la benevolenza dell'arbitro Wengenmeyer di Monaco di Baviera, che chiude entrambi gli occhi e dà il via libera alle discusse divise. La partita finisce 1-1, i 15.600 spettatori non sanno di assistere a un passaggio epocale.
Aspettando il semaforo verde, l'obiettivo di farsi pubblicità è stato comunque facilmente raggiunto: già nei mesi del tira e molla coi conservatori federali sui giornali e nei bar tedeschi non si parla d'altro, la querelle è seguita con interesse anche da chi non mastica calcio. "La disputa era di dominio pubblico: prima ancora di portare quelle maglie in campo, Mast e la Jaegermeister hanno un formidabile riscontro mediatico. E noi giocatori venivamo identificati dalla gente con le nostre divise, di gioco e di rappresentanza", ha spiegato col senno di poi Bernd Gersdorff, capitano di quell'Eintracht.
La novità non può cambiare il destino della squadra, che naviga nei bassifondi e vince solo una delle ultime nove partite: arriva penultima e retrocede per un punto, scavalcata in extremis dall'Hannover. Però l'iniezione di soldi freschi nelle casse e la visibilità garantita dalla sponsorizzazione fanno effetto nel medio-lungo periodo: l'anno seguente l'Eintracht e il suo cervo tornano in Bundesliga, e nel 1976/77 sfiorano il secondo scudetto, arrivando a un solo punto dal grande Borussia Moenchengladbach di Vogts, Stielike, Heynckes e Simonsen. Nel frattempo altri club di Bundesliga abbracciano la nuova via: compaiono gli sponsor sul petto, cambiano i regolamenti e la Dfb non può che chinarsi al progresso del marketing applicato al calcio. Le pervicaci cornate di Hubertus abbattono muri e tabù, mentre un liquore regionale tedesco finisce nei bicchieri di tutto il mondo.
Nel luglio del 1977 il Braunschweig mette a segno il colpo più clamoroso del calciomercato tedesco degli interi anni Settanta: riporta a casa il campione del mondo Paul Breitner, comprandolo dal Real Madrid per un milione e mezzo di marchi e offrendogli lo strabiliante ingaggio di 400mila marchi, cifre monstre per il pallone dell'epoca. Una mossa per puntare al titolo: Breitner è un leader e segna 15 reti, ma non s'ambienta, i compagni sono gelosi di lui, insomma l'upgrade non ha successo. Dopo una sola deludente stagione Der Afro torna al Bayern, salutando l'ambiente gialloblù con un eloquente "vi faccio un favore, me ne vado". L'Eintracht torna la discreta provinciale che è sempre stato.
Il sodalizio con l'azienda di liquori dura fino al 1987, senza più acuti sul campo. Nel 1983 Mast diventa pure presidente della società e tenta un altro colpo di marketing: vuole rinominarla Jaegermeister Braunschweig, ma stavolta l'opposizione federale è troppo forte. Nel 1985 l'Eintracht conclude la sua parabola di vertice retrocedendo in seconda divisione. E il logo? Già nel 1986 c'è il rebranding, si torna al leone rampante rosso che fu. E la versione attuale, in vigore dal 2012, richiama il periodo Jaegermeister nella forma circolare. Da trent'anni il cervo Hubertus non zampetta più sui prati degli stadi.
Così il magnate Mast, scomparso nel 2011, amava ricordare quell'avventura: "Non ho mai avuto alcun reparto pubblicità in azienda: ho sempre deciso e fatto da solo. L'idea della sponsorizzazione calcistica mi venne una sera del giugno '72, durante gli Europei in Belgio. Avevo invitato degli amici in uno stabilimento, avevamo mangiato e bevuto birra in giardino: poi mi accorsi che un paio di queste persone erano andate al ristorante e non erano tornate. Le trovai nel locale pieno di gente davanti alla tv per la partita della Germania. Non seguivo il calcio, ma capii che poteva essere un veicolo importante per raggiungere molte più persone rispetto a qualunque réclame tradizionale".
Così si interessò all'Eintracht: "La società aveva debiti spaventosi, mezzo milione di marchi solo con l'erario: li saldai io in un colpo solo. Il club non ce l'avrebbe mai fatta, per la Jaegermeister quelle cifre non erano un problema. Chiesi e ottenni di sostituire il leone col cervo nel logo. La federazione e gli arbitri ci fecero problemi per le dimensioni dello stemma sulle maglie: in realtà ogni intoppo era benedetto, perché faceva parlare di noi. Non dico che facessimo apposta, però... quasi: non ci dispiacevano le discussioni, poiché garantivano l'impagabile attenzione dei media".
E imbastì la clamorosa operazione Breitner: "Andai a prenderlo personalmente a Madrid, affittando un volo privato. Pagai un milione di marchi al Real, firmando un assegno sui due piedi. Col giocatore avevo trovato l'accordo al telefono, quando fissammo l'incontro decisivo in un hotel temevo che cambiasse idea: invece si fece trovare e accettò lo stipendio che gli offrivo. Non si trovò bene, perché i compagni lo ostracizzarono. Una volta mandai un osservatore a prender nota dei palloni che gli passavano: pochissimi e spesso ingiocabili. Dopo un anno se ne andò, ma fu un affare sul piano dell'immagine. E a costo zero: recuperai dal Bayern il milione speso in Spagna".
E la ridenominazione del club? "Affrontammo più tribunali e alla fine vincemmo: si poteva fare. Però il mio successore alla presidenza dell'Eintracht, avvocato e notaio, non ebbe il coraggio di andare fino in fondo. Le rimostranze dei tifosi? Non le capisco: al pubblico non dovrebbe importare se il club cambia nome. Conta che ci siano i soldi, per comprare i giocatori che servono, anche all'estero. Si vive di denaro, non di tifo: la gente deve capire che le società sportive sono imprese. Allineare le decisioni al pensiero dei tifosi non è né giusto né redditizio. E comunque sia chiaro: io non ho mai usato i tifosi".
Se l'Eintracht, Fricke e Mast vantano la primogenitura concreta, l'idea è di qualche anno più vecchia. Pochi sanno, infatti, che i veri pionieri delle maglie sponsorizzate sono i semiprofessionisti del Wormatia di Worms, che nella vita hanno un altro lavoro e nel calcio lottano disperatamente per sopravvivere nelle leghe regionali tedesche. La situazione del Wormatia, nel 1967, è critica: gli aumenti di tessere dei soci e abbonamenti non bastano; la cartellonistica allo stadio non è un fattore poiché il municipio la nega, considerandola lesiva del pregio della struttura; non ci sono mecenati all'orizzonte.
E allora che si fa? Si batte una strada inesplorata, talmente inesplorata che i regolamenti nulla dicono e quindi nulla vietano in proposito. Il 20 agosto 1967, in occasione della partita di campionato con l'Alsenborn, il Wormatia si presenta in campo con l'acronimo dell'industria americana di macchine per la movimentazione di terra Caterpillar in bella mostra sul petto. Marchio che compare per esteso sulle tute di rappresentanza e sulle spalle, sopra il numero. In cambio, il club incassa 5mila marchi. Il fatto scatena subito polemiche ad ogni livello. I giornali osteggiano il salto nel futuro, giungendo a parlare di "prostituzione". La Dfb ingaggia un muro contro muro col piccolo Wormatia: la prima riunione utile dei federali, il 2 settembre, mette urgentemente all'ordine del giorno proprio la vicenda fatta esplodere dal piccolo club della Renania.
Intanto il Wormatia continua a sfoggiare le maglie griffate: lo fa per quattro partite, due interne (con Alsenborn e Mainz) e due esterne (a Treviri e Ludwigshafen). Poi cala la mannaia della Dfb, che regola la nuova materia votando una norma che proibisce di usare sulle maglie simboli diversi dal logo del club. Il verbale del provvedimento ad hoc, subito ribattezzato Lex Wormatia, recita così: "Il consiglio [della federazione tedesca, ndr] ha osservato che l'uso di nomi di società, loghi e scritte pubblicitarie sugli indumenti di gioco non è ammissibile e dovrebbe essere vietato nell'interesse del mantenimento dell'ordine sportivo e della reputazione di questo sport. Le associazioni e i club devono immediatamente essere informati che l'abbigliamento dei giocatori può mostrare solo il nome del club o il distintivo del club e il numero del rispettivo giocatore. Al Wormatia Worms va chiesto di astenersi immediatamente dalla pubblicità aziendale sui kit dei giocatori". L'esperimento dunque finisce in fretta: ma l'appuntamento con la rivoluzione degli sponsor di maglia è solo rimandato di qualche anno.
Guarda lo scudetto 1967 dell'Eintracht
Guarda il passaggio dal leone al cervo
Guarda un servizio sulla rivoluzione dello sponsor a Braunschweig