Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
21 Luglio 2016
Le 17 regole del calcio sono rimaste sostanzialmente immutate in un secolo e mezzo di professionismo: solo sui portieri si sono abbattute periodiche modifiche, in altalena tra intenti protettivi e punitivi per il ruolo più delicato. Una delle grandi svolte si consumò negli anni '30, sulla scorta della drammatica esperienza del campo.
Uno degli ultimi retaggi normativi della discendenza rugbystica del football consentiva di caricare anche pesantemente il portiere quand'era in possesso del pallone: ecco perché nei filmati d'epoca si vedono gli estremi difensori liberarsi in fretta del giocattolo, calciandolo il più lontano possibile. Non era né voglia di ribaltare l'azione, né nobile odio per i tempi morti, bensì banale istinto di sopravvivenza. Poi la tragedia di Jimmy Thorpe convinse tutti a trovare soluzioni diverse.
La battaglia. Il collega a cui i portieri moderni devono la tranquillità si chiamava James Horatio Thorpe ed era nato nel 1913 a Jarrow, cittadina del nord-est presso Durham. Nel 1930, appena 17enne, venne ingaggiato dal Sunderland: fu tra i protagonisti del ritorno ai vertici del piccolo club biancorosso, 5 volte campione d'Inghilterra tra il 1891 e il 1913, poi spesso a ridosso delle prime ma senza più gioire. Era alto, agile, di carattere: i compagni lo adoravano e già nel '32, nonostante la giovanissima età, divenne titolare inamovibile dei Black Cats. Su di lui erano puntati anche gli occhi della commissione che selezionava la nazionale inglese, dove in quel periodo i pali erano appaltati a Hibbs del Birmingham. Aveva il diabete mellito e ogni giorno doveva iniettarsi l'insulina, pratica molto più complicata e dolorosa di oggi.
La stagione 1935/36 pareva quella buona: la squadra, dopo un abbrivio laborioso, aveva conquistato la vetta della classifica ed era lanciata verso il titolo. Il 1° febbraio 1936, al Roker Park, si giocava Sunderland-Chelsea: non era uno scontro diretto, poiché i londinesi viaggiavano a metà gruppo, ma la partita prese una pessima piega. Il Sunderland aveva fama di squadra leggiadra e manovriera, fautrice del passing game, mentre i Blues facevano leva sulla forza fisica. Tra fallacci assortiti e crescente nervosismo, in campo come sugli spalti, l'arbitro Warr di Bolton faticò a tenere le redini: espulse Billy Mitchell del Chelsea, ma non riuscì a frenare la violenza.
L'aggressione. Finché un episodio banale fece precipitare drammaticamente gli eventi, agonistici e non. A 20' dalla fine il Sunderland conduceva 3-1 e il Chelsea, in inferiorità numerica, schiumava rabbia nel vano tentativo di raddrizzare la situazione. Dopo l'ennesima parata, mentre era ancora a terra, Thorpe fu letteralmente aggredito dagli attaccanti avversari, che tentarono con ogni mezzo di strappargli il pallone dalle mani. Si avventarono anche i compagni, per difenderlo, e nel parapiglia Thorpe rimediò almeno quattro tremendi calcioni, tre al fianco e uno in testa, come confidò al padre più tardi. "Un pestaggio selvaggio", lo definì un poliziotto in servizio allo stadio.
Alla fine si rialzò e riuscì faticosamente a liberarsi della sfera, senza che Warr fischiasse alcunché. Raccontarono poi i compagni che, terreo in volto, non era in condizione di continuare a giocare, ma stoicamente rimase al suo posto. Nei pochi minuti che restavano il fuoriclasse nordirlandese Joe Bambrick, punta di diamante dei rivali, gli segnò due gol sfruttando indecisioni figlie della mancanza di lucidità: un tiro da lontano senza pretese e un guizzo di rapina, su un retropassaggio non controllato dallo stralunato Thorpe. Finì 3-3 e la stampa non fu clemente col portiere, attribuendogli con giudizi duri la responsabilità della mancata vittoria: "Nel momento della verità è diventato un pollo".
Quella sera Jimmy Thorpe tornò a casa sulle sue gambe, ma non stava affatto bene.Lunedì 3 febbraio, visto il peggioramento delle condizioni di salute, fu ricoverato al Monkwearmouth & Southwick Hospital: gli diagnosticarono delle costole rotte e cercarono di tamponare le contusioni alla testa. Invano: Thorpe morì mercoledì 5 febbraio per arresto cardiaco, dopo essere precipitato in coma diabetico. Non aveva nemmeno 23 anni.
Le reazioni. Immediatamente scattarono le inchieste, parallele, della Football Association e della magistratura. Era evidente il nesso tra i colpi ricevuti e l'assurda fine, ma non si approdò a nulla: il giudice ordinario non ritenne nemmeno di convocare in aula come testimone l'arbitro, che pure definì "molto negligente" in relazione al comportamento tenuto durante la partita. E la commissione istituita dalla FA, composta da tre gerontocrati ottuagenari, il 2 marzo 1936 prese una decisione pilatesca: da un lato non ravvisò alcuna responsabilità diretta di tesserati, dall'altro redarguì il Sunderland per aver fatto giocare un ragazzo con problemi di salute, peraltro senza premurarsi di interrogare in proposito lo staff medico dei Black Cats. Paradossale, quasi offensivo: come se i diabetici dovessero togliere il disturbo dai campi sportivi. Evidentemente la morte di Thorpe imbarazzava i parrucconi, e l'unico modo per uscirne era fare spallucce. Ufficialmente fu archiviato come normale incidente di gioco, pur dagli esiti imprevedibilmente tragici.
Però tutte le componenti del calcio inglese rimasero colpite dal dramma e cercarono le giuste contrarie. Adesso che c'era scappato il morto, non era più tollerabile il clima da rodeo attorno al portiere. Così fu cambiato il regolamento, vietando le cariche tout court: norma che vige tuttora.
Pentimento. Scrisse all'indomani della morte lo stesso giornalista del Sunderland Football Echo che l'aveva pesantemente criticato per le papere dell'ultima partita: "Conosco persone che darebbero qualsiasi cosa per non aver pronunciato, nella foga del momento, quelle dure parole su Jimmy Thorpe per i due gol del Chelsea nel secondo tempo della scorsa settimana. Non sapevano che quell'uomo in realtà era un eroe da issare davanti a tutti. Nemmeno io lo sapevo, e confesso ora che avrei dato qualsiasi cosa per conoscere la verità, evitando di scrivere quello che ho scritto. Non so se ha potuto leggerlo, ma se non l'ha fatto sono contento, perché non ha avuto rovinati gli ultimi giorni, visto quanto teneva al suo lavoro".
Il Sunderland vinse quel campionato. Il giorno dopo la premiazione Johnny Mapson, 18enne portiere di riserva che prese il posto di Thorpe tra i pali biancorossi, si presentò a casa della vedova e le consegnò la sua medaglia.