Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
12 Ottobre 2016
In Italia si discute sterilmente sull'opportunità di dotare i club di squadre B: all'estero non hanno mai avuto questi dubbi, in quasi tutti i Paesi esistono i farmteam. Giocano nelle categorie inferiori, accogliendo le riserve e i giovani di prospettiva della società maggiore di riferimento, per tenerli occupati e svezzarli: ma a volte vanno oltre il ruolo di comode chiocce e gli riescono cose incredibili.
Nella stagione 1979/80 tutta la Spagna assistette a bocca aperta alle imprese del Castilla, seconda squadra del Real Madrid, che passava i giocatori e i tecnici, forniva le maglie e ospitava allenamenti e partite nelle proprie strutture. La simbiosi era tale che il Castilla - fondato come entità autonoma nel 1930 - non aveva uno stemma e un logo propri, si accontentava di quelli della casa madre madridista: dopo la riforma delle squadre B ha modificato il nome in Real Madrid Castilla, togliendo ogni ipocrisia sul legame di sangue con il club più famoso del mondo.
Porte girevoli. Il Castilla giocava in Segunda division, la serie cadetta spagnola, e rappresentava una sorta di porta girevole per il continuo andirivieni tra prima e seconda squadra. Talenti veri, mica scartine: in quell'anno si facevano le ossa nella succursale futuri blancos come i portieri Agustin e Ochotorena, il difensore Sabido, il regista Gallego, la punta Pineda; e tutti i componenti della rosa erano destinati a militare con profitto nella Liga. L'organico era una masnada di ventenni: il più anziano, il centrale Javier Castaneda, ne aveva 23.
Alla terza giornata di campionato l'allenatore Juan Santisteban passò al Madrid come vice di Boskov, sostituito da Juanjo, al secolo Juan José Garcia Santos, prodotto del vivaio del Real costretto a lasciare il calcio giocato per un grave infortunio a soli 26 anni. Juanjo, dopo l'addio al campo, era andato a lavorare in banca, e nel tempo libero allenava le giovanili madridiste. Prese la squadra B il 22 settembre, pareggiando in casa col Tarragona, e sulle prime usò la Coppa del Re per aggiustare un gruppo ancora poco coeso. Passò facilmente il primo turno, ereditando dal predecessore la strada spianata con l'Extremadura, squadra di terza divisione (4-1 ad Almendralejo il 12 settembre) e svolgendo bene il compitino al ritorno (6-1 il 31 ottobre). Nel secondo round non faticò di più di fronte all'Alcorcon, altro team di Tercera: 1-0 a domicilio il 21 novembre, 4-1 in trasferta l'8 dicembre.
Crescendo di ostacoli. Poi si cominciò a fare sul serio: nel terzo turno, all'alba del 1980, il Castilla incrociò il Racing Santander, glorioso club di pari categoria appena retrocesso, e gli bastò il 3-1 casalingo del 9 gennaio, impattando senza reti al Sardinero una settimana dopo. Nel quarto turno la corsa dell'unica filiale rimasta in lizza, delle 18 che si erano iscritte al torneo, pareva al capolinea: sorteggiato con l'Hercules di Alicante, team di Primera division, il 30 gennaio il Castilla le buscò sode al Rico Perez, un 4-1 che suonava come una sentenza.
Al ritorno, il 6 febbraio, nella cornice del Santiago Bernabeu prestato dalla casa madre, i favoritissimi alicantini sottovalutarono i giovani rivali, si accontentarono di gestire il cospicuo margine accumulato e la pagarono con gli interessi: una doppietta di testa Paco tra il 25' e il 32' riaprì il discorso, il gol di Gallego a un minuto dalla fine mandò tutti ai supplementari, giacché il bizzarro regolamento non premiava i gol in trasferta. Al minuto 109 risolse tutto Valentin Cidon con un tap-in da rapace d'area, firmando un 4-0 che destò sensazione e lanciò il piccolo Castilla tra le big, ormai seguito con simpatia da stampa e pubblico neutrale.
Campagna basca. Negli ottavi di finale toccò all'Athletic Bilbao, altra squadra del massimo campionato, che al San Mames quell'anno aveva stroncato pure Real e Barcellona. Il 27 febbraio erano in 35mila al Bernabeu per scoprire lo sconosciuto Castilla dei miracoli: i blancos dominarono tra la sorpresa della gente, ma sbatterono nel portiere basco Aguirreoa e nell'arbitro Sanchez Arminio, che annullò un gol parso regolare. Lo 0-0 pareva ancora una volta stoppare i sogni, ma un'altra impresa era in arrivo. La sera del 12 marzo 1980 la Catedral, che si aspettava una vittoria rotonda dei suoi idoli, restò basita mentre Pineda colpiva due volte, con una deliziosa palombella di testa e un siluro in contropiede, nel secondo tempo: Agustin parò tutto e capitolò solo in pieno recupero, quando il destino del match era segnato. Castilla qualificato ai quarti, non per fortuna ma per bravura, tra gli applausi di un San Mames incredulo ma onesto, e anche di Vujadin Boskov, allenatore del Real venuto a vedere i talenti del futuro e uscito dallo stadio con un sorriso largo così.
Altro giro, altra grande: tutti volevano pescare il Castilla e l'urna accontentò la Real Sociedad di San Sebastian, che in quegli anni viveva il miglior ciclo della sua storia. Contendeva regolarmente lo scudetto a Real e Barça, guidava il campionato e aveva appena eliminato dalla coppa proprio i catalani, umiliandoli nell'angusto e torrido Atocha. Il 2 aprile, in casa, i baschi, schierati nella formazione migliore, cioè un undici da paura, misero sul piatto la netta superiorità, ma le barricate ospiti ressero. Anzi, passò per primo il Castilla, nela sua unica vera azione da gol: al 75' in contropiede, con Gallego ispiratore, Alvarez rifinitore e Sanchez Lorenzo esecutore. Nel quarto d'ora restante si sfogò la rabbia dei biancoblù, che in capo a sette minuti (tra il 76' e l'82') ribaltarono il punteggio, ma alla resa dei conti il 2-1 non ricalcava il gap tecnico.
Il Castilla, soddisfatto della sconfitta di misura, si dispose all'ennesimo sgambetto eccellente e affrontò il retour match col consueto furore agonistico. Il 1° maggio al Bernabeu, davanti a 90mila testimoni di fede madridista, la matricola si issò sul 2-0 prima dell'intervallo (Paco e Bernal) e poi seppe gestire la situazione favorevole fino al termine, estromettendo clamorosamente una delle superfavorite, fin lì imbattuta anche in campionato.
Polemiche sul sorteggio. Si erano qualificate per le semifinali anche altre due squadre madrilene, Real e Atletico. L'"intruso" nel quartetto era lo Sporting Gijon, che aveva fatto fuori il Rayo Vallecano, evitando che la Coppa del Re si trasformasse nel torneo dei quartieri della capitale. Già nei turni precedenti le rivali più quotate del Madrid avevano chiesto che i sorteggi pilotassero l'incrocio tra casa madre e succursale, sbandierando la regolarità della competizione: sempre respinte al mittente dalla federazione. Che, anzi, fece l'esatto opposto per il pescaggio nell'ultima urna: stabilì che le "sorelle" Real e Castilla non potessero affrontarsi se non in finale, probabilmente sperando che ciò non accadesse. Così ai madridisti spettò il derby con l'Atletico, mentre sulla strada dei ragazzi di Juanjo si pararono gli asturiani, che l'anno prima erano giunti secondi in Primera, in quella temporada avevano assaggiato la Coppa Uefa, si avviavano a un altro grande piazzamento in campionato (terzi, davanti al Barça) e schieravano tra gli altri uno dei massimi bomber della storia spagnola, Quini.
L'ennesimo pronostico chiuso faceva il paio con l'andamento tutto in salita della partita di andata, disputata al Molinon il 15 maggio. Il Castilla dopo un'ora era sotto di due gol, entrambi su rigore, e in inferiorità numerica per l'espulsione di Alvarez: tutto sacrosanto, nessun boicottaggio arbitrale. Poteva sbracare, invece tenne duro e impedì allo Sporting di allargare a dismisura lo scarto. Il 2-0 era pesantuccio, ma visti i recenti scalpi nessun osservatore lo considerava irrecuperabile.
La partita perfetta. Il 22 maggio, al Bernabeu, davanti ad altri 90mila spettatori - il Castilla non ne aveva mai visti tanti tutti insieme - la banda di Juanjo sfoderò la partita perfetta. Al 3' era già avanti con Paco, imbeccato da Bernal su cross di Pineda; al 20' pareggiò il conto con Sanchez Lorenzo, che tirò a sorpresa una punizione da lontano scioccando Castro. E alla mezz'ora esatta, in capo a un lungo possesso, il promettentissimo Gallego mise Cidon davanti al portiere per il più comodo dei gol. L'incredibile 3-0, col corollario di un gioco spiumeggiante, fece stropicciare gli occhi a tutti, tifosi del Real e non. Il poker servito dallo stesso Gallego a inizio ripresa definì la qualificazione, nel finale Joaquin piegò Agustin per l'inutile punto della bandiera. Castilla in finale, come nella storia della Coppa del Re avevano saputo fare solo altre due cadette, in tempi molto remoti: il Betis Siviglia nel 1931 e il Sabadell nel 1935, entrambe sconfitte.
Due giorni dopo, sullo stesso campo, la casa madre raggiunse i figliocci, battendo ai rigori l'Atletico. Per la prima e ultima volta nella storia, squadra A e squadra B di uno stesso club si affrontavano con un trofeo in palio. Ultima perché dal 1991, per regolamento, in Spagna le formazioni satellite non possono più accedere alla Coppa del Re.
La festa di tutti. La finale andò in scena il 4 giugno 1980, e fu facilissimo scegliere la location: lo stadio di entrambe le squadre, il Santiago Bernabeu. Presentata come "il trionfo del madridismo", celebrò presente e futuro del club più famoso del mondo. Le squadre si conoscevano a menadito, poiché venivano dallo stesso background e si incrociavano regolarmente nelle millemila amichevoli durante la stagione: beh, questa - giocata di mercoledì sera - era un'infrasettimanale un po' anomala. Il Castilla dovette indossare la seconda divisa color malva, l'atmosfera era più da rimpatriata tra amici che da partitissima, sugli spalti una festa annunciata. I baby se la giocarono senza paura: dopotutto avevano eliminato degli squadroni, quindi avevano la licenza di osare. Osarono per un'ora: quando Del Bosque, al 62', insaccò il 4-0 finì anche l'adrenalina.
Fin lì non era stato un torello, benché la disparità fosse evidente: i canterani avevano talento, corsa e grinta sufficienti, ma peccavano di esperienza, come dimostrarono i primi due gol, entrambi propiziati dalla maggior cattiveria in area di rigore. Il 6-1 finale non cancellava certo le mirabolanti imprese compiute lungo tutto il cammino della coppa. La premiazione fu un momento irripetibile: mai più successo che entrambe le squadre festeggiassero e posassero con la coppa in favore di macchine fotografiche. Se un membro della famiglia vince, gli altri godono con lui.
In Europa. Visto che il Real aveva vinto lo scudetto, l'anno seguente per il piccolo Castilla si spalancarono le inedite porte dell'Europa: iscritta alla Coppa delle Coppe, la filiale del Madrid ebbe un sorteggio di primo turno da accapponare la pelle. Fu abbinata al West Ham United, a sua volta primo club inglese a vincere la FA Cup militando in Second division. La rosa era cambiata parecchio, in ossequio al principio delle porte girevoli. Debuttavano nel calcio che conta futuri blancos come Chendo e Salguero, erano partiti per altri lidi molti protagonisti dell'epopea dell'anno prima.
Il match d'andata, il 17 settembre 1980, al Santiago Bernabeu, vide gli Hammers subito in vantaggio con Cross e padroni del campo. Nella ripresa il Castilla cambiò marcia e compì un'altra fantastica rimonta: Paco, Balin e Cidon, tra i pochi superstiti della finale in famiglia, firmarono il 3-1 con cui la banda Juanjo si presentò ad Upton Park due settimane dopo. Si giocò a porte chiuse, poiché l'Uefa punì con due turni di squalifica del campo il comportamento rissaiolo degli hooligans a Madrid: incidenti assortiti e una vittima, un tifoso inglese investito da un autobus fuori dallo stadio. Il club fece ricorso, e nel frattempo - da regolamento - indicò Sunderland come sede alternativa: il comitato esecutivo dell'Uefa in appello aggravò la sentenza, disponendo per la prima volta nella storia delle coppe europee la disputa nell'impianto deserto.
Anche senza la spinta della sua gente la squadra londinese di prese di petto la situazione, segnando tre reti nel primo tempo e approfittando del nervosismo degli ospiti, evidentemente poco abituati alle trasferte continentali. Nella ripresa il Castilla ebbe ben altro piglio, lottò con coraggio per risalire la corrente e Bernal segnò uno straordinario gol da lontanissimo che pareggiava perfettamente la situazione. Adesso era il vero Castilla, gagliardo e pugnace: la sfida si fece equilibrata e si trascinò ai supplementari. Qui Juanjo perse Paco per infortunio, e da quel momento la squadra intera smarrì la sicurezza. Il West Ham riprese le redini, segnò altre due volte nel secondo overtime e pose fine alla favola dei baby blancos.
Cosa accadde dopo. In quello stesso 1980/81 Agustin Pineda e Gallego furono promossi al Real, raggiungendovi Sabido, già trasferito nell'autunno precedente: il primo e l'ultimo furono titolari nella finale di Coppa Campioni persa a Parigi col Liverpool; Pineda rimase per sei stagioni, sempre discretamente chiuso da grandi colleghi di reparto; il regista Gallego - il migliore della nidiata - avviò una decennale militanza infarcita di trionfi e presenze in nazionale. Castaneda passò all'Osasuna di Pamplona, dove spese l'intera carriera stabilendo il record di presenze (350). Il difensore Perez Garcia divenne una bandiera del Murcia, come il centrocampista offensivo Bernal e l'attaccante Cidon al Santander. Tutti gli altri ebbero buone parabole in team di seconda fascia. L'allenatore Juanjo morì di infarto nel 1987, a soli 41 anni, mentre guidava la Cultural Leonesa di Leon alla promozione dalla Tercera alla Segunda division.
Il Castilla ebbe altre buone annate e nel 1984, schierando la giovanissima quinta del Buitre, cioè Sanchis, Michel, Pardeza, Martin Vazquez e Butragueno, conquistò la promozione nella Liga. Non poté beneficiarne in quanto filiale del Madrid, ma lanciò un manipolo di campioni che avrebbe fatto molte fortune della Casa Blanca e della Seleccion. Oggi gioca in Segunda ed è salita alla ribalta per aver dato il la alla carriera da allenatore di Zinedine Zidane.
Disse poi Ricardo Gallego: "Per noi quella finale era una missione impossibile. Il fatto che fossimo arrivati fin lì, e fossimo le loro riserve, fece sì che il Real ci affrontasse molto seriamente. Il punteggio non fu altro che il reale distacco tra loro e noi. Eravamo un gruppo che sprizzava entusiasmo e giocava un bel calcio, questo spiazzava molti avversari. Quando una squadra fa girare fluentemente la palla e corre come facevamo noi, un avversario che non se lo aspetta rischia seriamente di perdere".
Guarda la sintesi di Athletic Bilbao-Castilla 1-2
Guarda tutta la finale Real Madrid-Castilla 6-1
Guarda una sintesi della finale Real Madrid-Castilla 6-1
Guarda la sintesi di Castilla-West Ham 3-1 di Coppa delle Coppe
Guarda la sintesi di West Ham-Castilla 5-1 di Coppa delle Coppe