Storie, ministorie e controstorie dei rimbalzi del pallone
22 Luglio 2020
Alla fine della seconda guerra mondiale Trieste è una piccola Berlino, dichiarata territorio libero e divisa in settori gestiti dai vincitori, porta di transito di una regione contesa tra l'Italia e la Jugoslavia di Tito, temuto avamposto del blocco sovietico sul Mediterraneo: il peso strategico e simbolico fa dell'ex porto asburgico un nodo costante delle trattative per disegnare i nuovi confini del mondo bipolare. Nell'area tensioni e guerriglie sono all'ordine del giorno, sullo sfondo la terribile vicenda delle foibe e l'altrettanto drammatica realtà di esuli e minoranze, tra persecuzioni, normalizzazioni e alte manovre geopolitiche.
Squadra popolare. Il Ponziana, colori bianco e celeste, è la squadra dilettantistica di un quartiere popolare di Trieste, San Giacomo, e all'epoca dei fatti che narriamo ha già alle spalle le vite di un gatto. Nato nel 1912, sparisce una prima volta nel 1918 per confluire nell'Unione Triestina; riformato nel 1920, nel '28 è costretto dalle autorità fasciste alla fusione con l'Edera, di matrice repubblicana, creando l'Aspe, mentre i dissidenti si organizzano nel piccolo club dei Ponzianini Erranti; un'altra reincarnazione nel 1931, alla fine della breve esperienza Aspe.
Momento di massimo fulgore agonistico la partecipazione alla Prima divisione, equivalente della serie B, nella stagione 1927/28: campionato ricco di derby, visto che vi partecipano pure Udinese, Triestina, Fiumana e Monfalconese, e chiuso con rimpianti al quinto posto, mancando per un solo punto l'ammissione nel primo embrione della costituenda serie A a girone unico.
Nel 1946 il calcio riprende con relativa regolarità e i governi di Roma e Belgrado approfittano dell'appeal del pallone per perorare le rispettive istanze irredentiste. Nella serie A italiana c'è la Triestina, che nel '29 ha goduto di un ripescaggio ad hoc e da allora, per motivi patriottici, è sempre stata nelle grazie dei vertici politici e calcistici italiani. Nella neonata Jugoslavia - che riparte da zero in tutto, sport compreso - Tito vuole un segnale altrettanto forte: i suoi gerarchi lo accontentano e cercano a Trieste una squadra disposta a sposare la causa. La trovano nel piccolo orgoglioso Ponziana, che milita in serie C ed è di provvidenziale estrazione operaia.
Paga Tito. La proposta recapitata al presidente Edoardo Boltar è allettante: giocare in Prva Liga, il massimo torneo jugoslavo, con un budget quasi interamente fornito dalle autorità. Una soluzione che consentirebbe ottimi ingaggi, attirando giocatori indigeni di livello adeguato: a fronte delle seimila lire al mese medie di prima, ora se ne offrono almeno trentamila. I dirigenti biancocelesti prima di decidere tentano un analogo accordo con la Federcalcio italiana, che risponde picche: infine accettano. Da Belgrado oltre ai fondi arriva persino un treno dedicato, sempre pronto in stazione per portare la squadra in trasferta: all'inizio anche di nascosto, visto il clima teso.
La decisione non deve stupire perché va inquadrata in un contesto particolare e complesso. Trieste, austroungarica fino al 1918, non è e non si sente italiana: ha storia e vocazione cosmopolite, e non è reduce da buone esperienze con i governi italiani. Il regime fascista non ha certo bussato e chiesto il permesso: i maldigeriti tentativi di italianizzazione forzata della città, con annesse violenze squadriste, repressioni e politiche razziste, hanno alimentato la freddezza verso tutto ciò che è tricolore. Gli eventi della guerra - Trieste prima culla della resistenza, poi governata dai nazisti e sede dell'unico campo di concentramento italiano, la Risiera di San Sabba - non hanno migliorato le cose.
In una città che dagli italiani ha ricevuto soprattutto soprusi, e che ai primi di maggio del '45 è stata liberata dai titini, finire nella Jugoslavia appare a molti un'ottima prospettiva. Sentimenti diffusi soprattutto a San Giacomo e a Ponziana, quartieri di vicoli, osterie, botteghe, cantieri, con una certa presenza slovena e un'anima popolare e antifascista.
Nel dopoguerra ci sono scontri tra fazioni filo italiane e filo jugoslave, e la vicina resistenza diventata potere di Tito ha più fascino della lontana Roma. Ecco perché la scelta dei dirigenti del Ponziana, boicottata dagli ambienti italianisti e dalla stampa che oggi si definirebbe mainstream, trova solide radici storiche e ideologiche difficili da comprendere con gli schemi attuali.
Due gruppi. Il Ponziana dunque si sdoppia. Una squadra, di livello modesto, prosegue a militare con fatica nella serie C italiana. L'altra, chiamata Amatori Ponziana, attesa da un'avventura mai vista prima, riesce discretamente buona: annovera i migliori elementi già tesserati per il club e alcuni professionisti. La rosa aggrega veterani, pezzi forti e promesse vere. I cardini storici sono il portiere Roberto Parola, i fratelli Pietro e Carlo Corbatto, Tullio Tramarin e Cesare Caprioni. Il bomber ha un nome esotico: Radames Tommasini siglerà ben 11 dei 35 gol stagionali. Il suo partner in attacco, Carlo Maluta, è un ragazzino del 1927 destinato a un'ottima carriera in provincia (Triestina, Empoli, Siena, Benevento). Euro Giannini, mediano ventenne tornato sano e salvo dal campo di prigionia nazista di Mündorf, lavora nei cantieri navali ed emerge: l'anno dopo lo prenderà la Triestina, della quale diventerà una bandiera. Il nome altisonante è Ettore Valcareggi, il fratello meno forte di Ferruccio, futuro ct della nazionale, prelevato a stagione iniziata dal Legnano per chiudere la carriera nella sua città: in lilla prendeva trecentomila lire all'anno, il Ponziana gli offre un milione, lui non ci pensa due volte.
Il campionato di Prva Liga conta 14 squadre: otto vincitrici delle qualificazioni regionali (Stella Rossa per la Serbia, Hajduk Spalato per la Croazia, Zeljeznicar Sarajevo per la Bosnia, Nafta Lendava per la Slovenia, Pobeda Skopje per la Macedonia, Buducnost Titograd per il Montenegro, Spartak Subotica per la Vojvodina, Kvarner Rijeka per l'Istria), due dai maggiori tornei cadetti (Zeljeznicar Nis per la Serbia, Dinamo Zagabria per la Croazia), vincente e finalista degli spareggi tra le escluse (Metalac Belgrado e Lokomotiva Zagabria), il Partizan Belgrado espressione dell'esercito e la triestina da designare. Inizia a fine agosto, quando le trattative con il Ponziana sono ancora in corso. Parte con due X nel calendario, coperte più avanti: una per l'"intrusa" italiana e l'altra per il Kvarner, che si instrada ai primi di ottobre.
Raminghi e coraggiosi. Il Ponziana fa il rodaggio con alcune amichevoli e debutta addirittura dopo due mesi di campionato, venerdì 1° novembre 1946, pareggiando 2-2 a Zagabria con la Lokomotiva: i primi storici gol di questa strana avventura portano le firme di Livio Benvenuti e Cesare Caprioni. Poi rimane in giro per raggiungere Belgrado e giocare già il 3 con la Stella Rossa, venendone asfaltato (5-0).
L'esordio casalingo è in programma domenica 10 novembre, col Buducnost: ma avviene in campo neutro, poiché le autorità alleate, temendo disordini, per qualche tempo negano lo stadio cittadino di San Sabba sia alla Triestina che al Ponziana. Gli alabardati si spostano a Udine, i biancocelesti emigrano a Lubiana. Passo dopo passo il Ponziana si cala nell'inedita realtà: la prima vittoria arriva il 24 novembre a Sarajevo, 1-0 allo Zeljeznicar siglato da Rolando Padovan. E il ritorno a casa è un doppio regalo di Natale: il 22 dicembre a Trieste, davanti a quattromila spettatori, sale il quotato Hajduk di Spalato e viene abbattuto da un bellissimo gol di Paolo Stivoli dopo appena tre minuti. Per poter giocare sul suo campo Boltar si assume davanti alle autorità alleate la preventiva responsabilità personale in caso di incidenti.
Il Ponziana tiene botta e resta aggrappato alla zona salvezza: perde spesso di misura, in casa fa sudare i colossi Stella Rossa e Partizan, vince vari scontri diretti e si giova anche di due punti a tavolino (il 2 marzo 1947 a Maribor, quando la partita col Nafta Lendava viene cancellata per neve). Alla fine di una corsa senza respiro, a metà giugno, si trova con 20 punti in 26 partite, ed è la squadra con più vittorie (nove) tra quelle della seconda metà classifica: decimo a pari merito col Buducnost, a un solo punto dalla salvezza, poiché per il 1947/48 è prevista la drastica riduzione da 14 a 10 squadre. Quindi retrocederebbe, ma la ciambella di salvataggio arriva, vedi tu il destino, proprio dall'Italia: anzi, proprio dalla Triestina.
Doppio ripescaggio. Succede che anche gli alabardati retrocedano, ultimi in serie A: ma in capo a una feroce campagna mediatica, su suggerimento del governo De Gasperi, che affida la questione nientemeno che all'astro nascente Giulio Andreotti, la Figc ripesca la Triestina, varando allo scopo un campionato a 21 squadre. E da Roma arrivano anche i soldi per sostenere la società: si dice 500 milioni l'anno, portati dalla capitale da carabinieri in motocicletta. Azione e reazione: anche al di là del confine viene disposto il recupero del Ponziana, sostenuto da ragioni di stato uguali e contrarie.
Morale: nel 1947/48 la squadra biancoceleste si è ormai ambientata e - rafforzata dagli sloveni Ernest Aljancic e Bozo Pilej - in un torneo teoricamente più difficile si salva in scioltezza, arrivando quinta, a pari punti con la Stella Rossa. Partecipa anche alla prima edizione della Coppa Tito, eliminata subito dal Kvarner (3-2). Intanto pure la Triestina legittima sul campo il ripescaggio e gli aiuti di stato: allenata da Nereo Rocco e con l'ex ponzianino Giannini, disputa una stagione meravigliosa, giungendo seconda a braccetto di Milan e Juventus, alle spalle solo del Grande Torino.
Fine dell'avventura. Nell'estate del 1948 la situazione politica cambia radicalmente. Il 28 giugno il maresciallo Tito, al culmine di un aspro braccio di ferro, rompe con Mosca e viene espulso dal Comintern: la Jugoslavia passa da nemico sotto casa a prezioso cuscinetto tra Est e Ovest. Si spiana così la strada per i colloqui che porteranno alla definizione dei confini, firmati nel 1954 a Londra, ricalcando sostanzialmente lo status quo postbellico, con Trieste assegnata all'Italia e l'Istria alla Jugoslavia.
Con l'allentamento della tensione sul confine giuliano non c'è più ragione di sostenere un'enclave calcistica: le autorità di Belgrado abbandonano al suo destino il Ponziana, che nel 1948/49 si presenta in Prva Liga in condizioni disastrose. Nonostante l'ingaggio di giocatori triestini a fine carriera come l'estrosa ala Mario Polak, già italianizzato in Polacchi, proveniente dal Cosenza e con un buon curriculum in serie B, e l'attaccante Arturo Presselli, che ha visto anche la A con la Lucchese, la squadra è parecchio indebolita e costretta a mille peripezie, tra cui - di nuovo - il frequente spostamento delle gare interne nella solita Lubiana. Giunge mestamente ultima con la miseria di dieci punti, sette dei quali fatti nel girone d'andata. Resta però nella storia l'ultimo squillo, la memorabile vittoria casalinga per 2-1 sulla Stella Rossa seconda in classifica: l'8 maggio 1949, davanti a diecimila testimoni, le note del valzer d'addio sono di Benvenuti e Presselli. La retrocessione è inevitabile, e a stretto giro segue l'altrettanto logica rinuncia all'affiliazione in Jugoslavia.
L'Amatori saluta e torna nei ranghi della casa madre Ponziana. L'Italia non stende certo tappeti rossi e la zelante Figc presenta un conto salato: sei mesi di squalifica per tutti coloro che hanno osato tesserarsi altrove e iscrizione della squadra solo al campionato di Promozione, la quarta serie. Molti giocatori se ne vanno, trovando posto in Jugoslavia o in categorie superiori.
Declino, blitz e campioni. Da allora il Ponziana conosce un lento ma inesorabile declino: la coraggiosa squadra del quartiere popolare naviga nei tornei minori, segnalandosi come ottimo vivaio (escono da lì Fabio Cudicini, il povero Giorgio Ferrini e Giovanni Galeone) e realizzando ogni tanto blitz da prima pagina. Come quando, il 17 luglio 1960, vince grazie alla monetina la finale nazionale dei dilettanti a Rimini con la Scafatese (finita 1-1). O quando, il 1° dicembre 1974, batte 1-0 la Triestina in un memorabile derby di serie D, giocato al Grezar davanti a ventimila spettatori. Triestina che, dopo la fine della querelle sui confini orientali, a sua volta perde la tutela politica della Dc: abbandona la serie A nel 1959 per non rivederla più.
Siccome reincarnarsi non gli dispiace, lo spirito del Ponziana è ancora vivo sotto altre spoglie: la società originaria è scomparsa nel 2014, oggi la legittima erede si chiama Chiarbola Ponziana e milita in Promozione.